un processo dinamico nel qui e ora, nel mentre si costruisce e nasce l’opera, e nel suo transitare si fa ricerca sul campo e diventa, essa stessa, un’antropologia dell’esistente in grado di scardinare la forma originaria dell’oggetto in una nuova dimensione dialogante.
Linee, tracce di colore, figure e volti trasfigurati, sospesi nel loro sguardo, tali da sembrare assenti, scarnificate nella pietà del colore e ancorate a un segno netto, attingono linfa vitale nel solco della tradizione artistica delle avanguardie e rivivono riemergendo alla luce, prendendo forma nuova dal fondo buio, dagli abissi di colore in cui è imprigionato tutto ciò che è invisibile e taciuto, per essere disvelato al mondo. Volti e presenze che sono geometria e pensiero metafisico del non detto dell’indicibile che prende forma e pulsa nei cromatismi intensi e drammatici, imprigionati e agonizzanti nell’urlo di rabbia e nel silenzio pietrificato di una parola mai nata, che ha perso la sua funzione dialogante. E anche quando tutto si perde e il presagio della tempesta rimanda alla morte imminente, la luce irrompe, improvvisa e potente ad aprire un varco, a forzare il limite dell’invisibile, sbalza oltre il segno e rinnova la vita: tutto respira e si riaccende, i volti – a volte bellissimi – emergono dal fondo, dal tempo dell’infanzia e sono presenze che aprono le porte al dialogo, sono pensiero meditato, ricordo e favola, preghiera e canto per il pianto e il dramma dell’uomo, sono seme di speranza depositato ne segno lasciato dal colore.
La pittura di Jozzi rappresenta uno strumento unico di comunicazione e di dialogo, che preannuncia e dice del taciuto.
- Gaetano Marchese 2017 -